La nuova agorà
da www.ilsole24ore.com del 14 aprile 2018
di Giorgio Ieranò
Dall’antica Grecia agli Hudson Yards di New York, il centro nevralgico delle città è la sintesi dei cambiamenti in atto. E la sua evoluzione continua
La piazza è un’invenzione degli antichi greci a cui altri popoli guardavano con sospetto. Racconta lo storico Erodoto che, un giorno, alcuni ambasciatori spartani si presentarono con toni minacciosi a Ciro il Grande, re di Persia. Il signore dell’Asia, stupito da tanta arroganza, chiese ai suoi cortigiani chi fossero codesti greci. «Un popolo», gli spiegarono, «che ha la bizzarra abitudine di ritrovarsi a chiacchierare in uno spiazzo all’aperto chiamato agorà». «Allora», disse Ciro, «non mi farò spaventare da gente che ha riservato un luogo in cui riunirsi per ingannarsi a vicenda». Al di là dell’aneddoto, Erodoto sta raccontando il confine tra due civiltà: l’agorà è ciò che distingue la libera polis dai dispotici imperi orientali. È lo spazio comune creato nel centro della città per rompere quella gerarchia urbana verticale orientata sulle acropoli o sui castelli in cui si arroccano i signori.
Da Erodoto in poi, l’agorà greca è stata spesso, e forse troppo, idealizzata. Ce la siamo figurata come la palestra comunitaria per eccellenza, dove i cittadini sono intenti a prendere decisioni politiche o a discorrere dei massimi sistemi, e dove tutti sono Pericle o Socrate. Il filosofo Zygmunt Bauman parlava di «ricostruire l’agorà», intesa come «il luogo dell’incontro, della negoziazione tra l’interesse privato e il bene pubblico». Qualcun altro, più ottimista, dice che la nuova agorà esiste già: è la piazza virtuale di internet, dove la gente s’incontra, discute, decide (le Parlamentarie grilline), costruisce un sapere comunitario e democratico (Wikipedia). Si potrà obiettare che, come ricordava Umberto Eco, l’agorà virtuale spesso più che a una piazza somiglia a un bar, dove, diceva sempre Bauman, la cosa che ciascuno ascolta più volentieri è «l’eco della propria voce». Spesso su internet trionfa non un comunitario noi, ma l’ingombrante io di chi esibisce la sua vita (fotografie, pensieri, stati d’animo) su Facebook. Viceversa, già nell’antichità, la piazza non è tanto lo spazio armonioso del dibattito, quanto il luogo del tumulto, dove la folla mormora, si agita, crea disordini. Plauto, nel Curculio, descrive un foro popolato da «impostori, fanfaroni che infilzano una bugia dietro l’altra, bidonatori, facce toste, pettegoli, maligni». Haters e propalatori di fake news, insomma, si aggiravano già per le piazze antiche…